Recensione (riflessioni)
a cura di Danila Oppio
a IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME di ANNA MONTELLA
Qualche considerazione nata dalla lettura del recente libro dell’autrice.
IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME, è un libro da bere tutto d’un fiato, dove poesia e scrittura si uniscono in una danza d’amore per la vita. Dove i ricordi storici e personali convivono in simbiosi perfetta, infine, dove Anna Montella si rispecchia e fa amare la sua scrittura, insieme alla sua poliedrica attività professionale.
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Tempo addietro, la ricerca di una radice nobiliare era piuttosto diffusa, così accadde anche per il grande Totò, che non era certo nato da blasonati lombi. Andiamo un po’ a sfogliare il suo stato di famiglia.
Nel meridione d’Italia erano (e lo sono tuttora) piuttosto diffusi i cognomi preceduti dalle particelle nobiliari De Di Della o Del e ciò faceva presupporre avessero radici nobiliari. Cosa non sempre vera, poiché anche i lavoratori dei possidenti terrieri (nel medioevo erano definiti “servi della gleba”, appartenevano al feudo e quindi erano a tutti gli effetti “di o de quel tal marchese, conte o barone che dir si voglia). Venne quindi aggiunta quella particella come senso di proprietà, molto similare ai figli del tal nobile feudatario. Da qui una certa confusione. Classico esempio quello di Totò.
Nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità come Antonio Clemente, sua madre nel 1921 sposa Giuseppe de Curtis dalla cui relazione era nato Antonio. Nel 1928 il de Curtis riconosce Antonio come suo figlio, nel 1933 il marchese Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas. (notare che il “de” non porta l’iniziale maiuscola e questo mi pare significativo, in relazione a quanto sopra citato).
Nel 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio,altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Tutto questo baillame di nomi aristocratici lo trovo semplicemente ridicolo, ma cosa dobbiamo aspettarci da un così grande comico?
Vera, presunta o peggio ancora, millantata nobilità, era comunque quel voler a tutti costi appartenere all’aristocrazia, seppure chi si fregiava del titolo, avesse portato le pezze sul culo. Poi avvenne che l’impero economico e industriale surclassò anche chi si ornava di reali titoli nobiliari, eredità della ormai decaduta Monarchia.
Tant’è che perfino chi ha lavorato sodo per far nascere industrie che hanno dato lavoro a tanta gente ( e tanto danaro nelle tasche degli imprenditori) era a sua volta disprezzato dai nobili con l’appellativo di parvenu. A quei tempi “faceva figo” usare parole francesi, ma chi è il parvenu? Una persona arricchita rapidamente, che, pur affettando con presunzione atteggiamenti distinti, conserva almeno in parte i modi e la mentalità della condizione sociale precedente. ”Signori si nasce” diceva Totò! Questo a mo’ di consolazione, per affermare che la discriminazione esisteva anche tra i ricchi nobili e i ricchi industriali self made men.
Prima del famoso sessantotto, esisteva un profondo divario tra le classi sociali: i ricchi e i poveri, i figli della portinaia, della cameriera, de muratore o del contadino, dell’operaio di fabbrica, del ciabattino... erano considerati poco più di niente. E importava ben poco se possedevano un quoziente intellettivo superiore a quello del figlio del possidente. Restavano emarginati.
Oggi la disparità sociale non si nota più, ma quella economica è rimasta pressocché uguale: i poveri sono sempre più poveri e i ricchi aumentano i loro capitali. Ma questo è un altro discorso.
Se poi erano venute al mondo creature da una relazione extra-coniugale, il cui padre non li riconosceva, spesso sui documenti erano segnalate come figli di N.N. Semplicemente terrificante tale mentalità chiusa, ottusa, colma di preconcetti e grandemente ipocrita.
Con il movimento del Sessantotto, il fenomeno socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968, grandi movimenti di massa, socialmente eterogenei composti da operai e studenti, interessarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Si è trattato di una vera “rivoluzione” sociale e politica che ha diviso l’opinione pubblica. Chi sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile e chi invece pensa si sia trattato del trionfo di una stupidità generalizzata e di un conformismo di massa i cui figli stessi della borghesia avrebbero voluto abbattere il sistema borghese.
A mio avviso, è avvenuta proprio quest’ultima realtà. Finalmente erano stati demoliti i confini tra la ricca borghesia, la nobiltà e quelli della classe sociale più modesta sotto il profilo economico. Ricordo bene quel periodo, essendo nata anni prima dell’autrice del libro. E Anna Montella ha anticipato tale movimento, avvertendolo già nella sua percezione istintiva di bambina precoce sotto il profilo cognitivo e intellettuale..
Insieme all’abbattimento della diversità tra le classi sociali, avvenne anche, pur se più lentamente, quello dei pregiudizi maggiormente radicati. Il ’68 a mio avviso fu proprio una rivoluzione che modificò il precedente contesto, e il fatto che gli stessi giovani borghesi si siano battuti sul sovvertimento delle differenze di classe sociale, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti coloro che erano stati emarginati dalla società “con la puzza sotto il naso”. Altro che noblesse oblige, qui si tratta di noblesse déchue! (nobiltà decaduta).
Chiedo scusa se mi sono dilungata in tali disquisizioni, ma è quanto mi ha portato a ricordare la lettura del libro di Anna Montella, oltre ad avermi fatto assaporare la leggerezza dell’essere, nel raccontarci i suoi ricordi del passato che vive ancora in lei, senza svelamenti di drammi, come in quello straordinario racconto “Il mago di Oz” nel quale si riscontra l’autoironia dell’autrice.
Vorrei dire che ciò che si è vissuto nel passato, non si deve rimpiangere, né tantomeno credere che, se fosse possibile schiacciare il tasto rewind del vecchio registratore e registrarci sopra quello che avremmo voluto modificare, possa risultare utile. Tutta la nostra esistenza è in crescendo, e il passato è la base sulla quale si è costruito quel che siamo divenuti oggi.
Desidero aggiungere che mi ha stupito e non poco che l’autrice si sia definita pigra. Tutt’altro che indolente! Se per pigrizia intende non aver iniziato in precedenza l’attività che sta svolgendo ora con grande perizia e amore, credo sia dipeso che non fosse ancora giunta a completa maturazione la sua straordinaria eccletticità, né che non si fosse presentato il giusto momento, poiché avviene anche da alcuni particolari incontri la spinta a progredire, che non si erano svolti in precedenza.
Posso testimoniare che Anna, al contrario di quanto sostiene nell’intervista riportata nel testo del suo racconto biografico, è dinamica, sollecita, efficiente, disponibile, precisa e lavora a pieno ritmo. Nel mio caso specifico, ha realizzato tre e-book poetici, preparato e dato alla stampa due miei libri, realizzato diverse video-poesie e inserito nelle sue antologie mie opere. Il tutto, ad una velocità impressionante, e mi sono chiesta dove trovasse il tempo per far tutto questo. Ma lo ha confermato nella stessa intervista: rubando le ore alla notte!
Dalla sua biografia e dall’intervista che troviamo alla fine del testo, si potrà approfondire la conoscenza di Anna Montella.
Chiudo con altre poche parole, poiché ne ho anticipate molte: IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME, è un libro da bere tutto d’un fiato, dove poesia e scrittura si uniscono in una danza d’amore per la vita. Dove i ricordi storici e personali convivono in simbiosi perfetta, infine, dove Anna Montella si rispecchia e fa amare la sua scrittura, insieme alla sua poliedrica attività professionale.
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Danila Oppio
a cura di Danila Oppio
a IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME di ANNA MONTELLA
Qualche considerazione nata dalla lettura del recente libro dell’autrice.
IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME, è un libro da bere tutto d’un fiato, dove poesia e scrittura si uniscono in una danza d’amore per la vita. Dove i ricordi storici e personali convivono in simbiosi perfetta, infine, dove Anna Montella si rispecchia e fa amare la sua scrittura, insieme alla sua poliedrica attività professionale.
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Tempo addietro, la ricerca di una radice nobiliare era piuttosto diffusa, così accadde anche per il grande Totò, che non era certo nato da blasonati lombi. Andiamo un po’ a sfogliare il suo stato di famiglia.
Nel meridione d’Italia erano (e lo sono tuttora) piuttosto diffusi i cognomi preceduti dalle particelle nobiliari De Di Della o Del e ciò faceva presupporre avessero radici nobiliari. Cosa non sempre vera, poiché anche i lavoratori dei possidenti terrieri (nel medioevo erano definiti “servi della gleba”, appartenevano al feudo e quindi erano a tutti gli effetti “di o de quel tal marchese, conte o barone che dir si voglia). Venne quindi aggiunta quella particella come senso di proprietà, molto similare ai figli del tal nobile feudatario. Da qui una certa confusione. Classico esempio quello di Totò.
Nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità come Antonio Clemente, sua madre nel 1921 sposa Giuseppe de Curtis dalla cui relazione era nato Antonio. Nel 1928 il de Curtis riconosce Antonio come suo figlio, nel 1933 il marchese Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco Gagliardi Foccas. (notare che il “de” non porta l’iniziale maiuscola e questo mi pare significativo, in relazione a quanto sopra citato).
Nel 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio,altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
Tutto questo baillame di nomi aristocratici lo trovo semplicemente ridicolo, ma cosa dobbiamo aspettarci da un così grande comico?
Vera, presunta o peggio ancora, millantata nobilità, era comunque quel voler a tutti costi appartenere all’aristocrazia, seppure chi si fregiava del titolo, avesse portato le pezze sul culo. Poi avvenne che l’impero economico e industriale surclassò anche chi si ornava di reali titoli nobiliari, eredità della ormai decaduta Monarchia.
Tant’è che perfino chi ha lavorato sodo per far nascere industrie che hanno dato lavoro a tanta gente ( e tanto danaro nelle tasche degli imprenditori) era a sua volta disprezzato dai nobili con l’appellativo di parvenu. A quei tempi “faceva figo” usare parole francesi, ma chi è il parvenu? Una persona arricchita rapidamente, che, pur affettando con presunzione atteggiamenti distinti, conserva almeno in parte i modi e la mentalità della condizione sociale precedente. ”Signori si nasce” diceva Totò! Questo a mo’ di consolazione, per affermare che la discriminazione esisteva anche tra i ricchi nobili e i ricchi industriali self made men.
Prima del famoso sessantotto, esisteva un profondo divario tra le classi sociali: i ricchi e i poveri, i figli della portinaia, della cameriera, de muratore o del contadino, dell’operaio di fabbrica, del ciabattino... erano considerati poco più di niente. E importava ben poco se possedevano un quoziente intellettivo superiore a quello del figlio del possidente. Restavano emarginati.
Oggi la disparità sociale non si nota più, ma quella economica è rimasta pressocché uguale: i poveri sono sempre più poveri e i ricchi aumentano i loro capitali. Ma questo è un altro discorso.
Se poi erano venute al mondo creature da una relazione extra-coniugale, il cui padre non li riconosceva, spesso sui documenti erano segnalate come figli di N.N. Semplicemente terrificante tale mentalità chiusa, ottusa, colma di preconcetti e grandemente ipocrita.
Con il movimento del Sessantotto, il fenomeno socio-culturale avvenuto negli anni a cavallo del 1968, grandi movimenti di massa, socialmente eterogenei composti da operai e studenti, interessarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro forte carica di contestazione contro i pregiudizi socio-politici. Si è trattato di una vera “rivoluzione” sociale e politica che ha diviso l’opinione pubblica. Chi sostiene sia stato uno straordinario momento di crescita civile e chi invece pensa si sia trattato del trionfo di una stupidità generalizzata e di un conformismo di massa i cui figli stessi della borghesia avrebbero voluto abbattere il sistema borghese.
A mio avviso, è avvenuta proprio quest’ultima realtà. Finalmente erano stati demoliti i confini tra la ricca borghesia, la nobiltà e quelli della classe sociale più modesta sotto il profilo economico. Ricordo bene quel periodo, essendo nata anni prima dell’autrice del libro. E Anna Montella ha anticipato tale movimento, avvertendolo già nella sua percezione istintiva di bambina precoce sotto il profilo cognitivo e intellettuale..
Insieme all’abbattimento della diversità tra le classi sociali, avvenne anche, pur se più lentamente, quello dei pregiudizi maggiormente radicati. Il ’68 a mio avviso fu proprio una rivoluzione che modificò il precedente contesto, e il fatto che gli stessi giovani borghesi si siano battuti sul sovvertimento delle differenze di classe sociale, ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutti coloro che erano stati emarginati dalla società “con la puzza sotto il naso”. Altro che noblesse oblige, qui si tratta di noblesse déchue! (nobiltà decaduta).
Chiedo scusa se mi sono dilungata in tali disquisizioni, ma è quanto mi ha portato a ricordare la lettura del libro di Anna Montella, oltre ad avermi fatto assaporare la leggerezza dell’essere, nel raccontarci i suoi ricordi del passato che vive ancora in lei, senza svelamenti di drammi, come in quello straordinario racconto “Il mago di Oz” nel quale si riscontra l’autoironia dell’autrice.
Vorrei dire che ciò che si è vissuto nel passato, non si deve rimpiangere, né tantomeno credere che, se fosse possibile schiacciare il tasto rewind del vecchio registratore e registrarci sopra quello che avremmo voluto modificare, possa risultare utile. Tutta la nostra esistenza è in crescendo, e il passato è la base sulla quale si è costruito quel che siamo divenuti oggi.
Desidero aggiungere che mi ha stupito e non poco che l’autrice si sia definita pigra. Tutt’altro che indolente! Se per pigrizia intende non aver iniziato in precedenza l’attività che sta svolgendo ora con grande perizia e amore, credo sia dipeso che non fosse ancora giunta a completa maturazione la sua straordinaria eccletticità, né che non si fosse presentato il giusto momento, poiché avviene anche da alcuni particolari incontri la spinta a progredire, che non si erano svolti in precedenza.
Posso testimoniare che Anna, al contrario di quanto sostiene nell’intervista riportata nel testo del suo racconto biografico, è dinamica, sollecita, efficiente, disponibile, precisa e lavora a pieno ritmo. Nel mio caso specifico, ha realizzato tre e-book poetici, preparato e dato alla stampa due miei libri, realizzato diverse video-poesie e inserito nelle sue antologie mie opere. Il tutto, ad una velocità impressionante, e mi sono chiesta dove trovasse il tempo per far tutto questo. Ma lo ha confermato nella stessa intervista: rubando le ore alla notte!
Dalla sua biografia e dall’intervista che troviamo alla fine del testo, si potrà approfondire la conoscenza di Anna Montella.
Chiudo con altre poche parole, poiché ne ho anticipate molte: IL MIO COCCODRILLO LO SCRIVO DA ME, è un libro da bere tutto d’un fiato, dove poesia e scrittura si uniscono in una danza d’amore per la vita. Dove i ricordi storici e personali convivono in simbiosi perfetta, infine, dove Anna Montella si rispecchia e fa amare la sua scrittura, insieme alla sua poliedrica attività professionale.
Come non innamorarsi dei suoi libri?
Danila Oppio