silloge cartacea marzo 2002
2° "ristampa" elettronica 2011 |
LA POESIA DI ANNA MONTELLA
– commento di Vittorio Verducci – Una silloge di poesie di squisita delicatezza, tutta femminile, questa di Anna Montella, di cui l’autrice mi ha fatto gradito dono: permeata da un afflato poetico intenso e nel contempo delicato, da cui trapelano le profondità e i segreti di un’anima alla ricerca dei significati e dei valori dell’esistenza. L’ho letta tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine, senza fermarmi mai: mi catturava la bellezza dei versi, che scivolavano via in una levità in cui sentivo evocare un vissuto interiore profondamente sofferto. Ed è questa la prima impressione che ne ho ricavato: una dolcezza di stile, un ritmo, spesso metrico, del verso, un potere, intenso eppur soave, delle parole, che esprimeva perfettamente un ricco mondo interiore; ed ho avvertito che la bellezza formale non era solo orpello marginale, ma riusciva a realizzare una perfetta fusione tra stile e contenuto, tra significato e significante, che è condizione necessaria perché si realizzi un’opera d’arte. Nel tentare un’analisi della silloge, vorrei innanzitutto sottolineare come questa sia pervasa di memorie. Sono i ricordi d’infanzia, che affiorano alla mente commossa della poetessa dalle visioni di viali al tramonto, dove, “nella magia surreale / di antiquate lanterne” lei avverte “l’eco vibrante di antiche passioni” e “silenziose figure” che “danzano / sulle note di melodie / perdute”. Sono le rimembranze che si leggono in Madama Dorè: di un tempo lontano, da cui riemergono streghe e corsari, i giorni di scuola, “i primi amori e i primi dolori”. Ma sono anche i desideri e le illusioni a compenetrare il suo mondo; sono i sogni e le nostalgie, vissute con malinconica compostezza e che si dipingono delle dolcezze della notte, delle falci dondolanti di lune, dei sorrisi “di stelle d’argento” e di ancestrali, misteriosi silenzi. È una poesia, quindi, che si colora d’incanto, che sa di favole antiche e si connota di fanciullesco candore, ma è anche poesia caratterizzata dalle forti disillusioni e da un amaro realismo dove, alle favole inventate e rese felici dalle “argentine risate delle fate” si contrappongono quelle rubate oppure smarrite “delle principesse mai baciate” e “delle streghe che vincono sempre sulle fate”. È quindi una poesia di denuncia dei mali che affliggono il mondo, da cui però ci si può svincolare grazie al potere catartico della speranza. È quanto si rinviene in tante composizioni e soprattutto nella favola d’inizio “C’era una volta”: un breve racconto che, nella metafora del sole e della luna, inizialmente uniti da un rapporto d’amore e poi divisi dalla Notte, esprime sì il disincanto che questa, venuta dai confini del Tempo, porta con la sua Oscurità separatrice, ma anche l’auspicio che un giorno tutto possa ritornare come prima “e la Luna, quale sposa dai veli d’argento” torni “ad abbracciare il Sole, splendido principe dalle vesti di oro arabescato”. Il sentimento del Tempo è comunque un qualcosa che abbraccia e compenetra tutta la poesia di Anna Montella. “Nel tempo che fugge come sabbia tra le dita” gli uomini esprimono desideri, sensazioni, aspirazioni all’immortalità. Ma non sono che “comparse: “nomadi erranti / tra dune sabbiose”, gocce di pioggia e lacrime / smarrite / nell’urlo furioso della tempesta…”. Parole, queste, che pesano e che spingono a riflettere: in un mondo migliore, fatto di cose semplici e genuine, come sono semplici e genuini la Felicità e l’Amore, in cui l’uomo potrà trovare, come sopra si diceva, la sua catarsi. Parole che seducono e avvincono, e più le leggi e più scopri sensazioni, sentimenti, pensieri nuovi: segno, questo, che siamo in presenza di un’autrice di notevole spessore letterario, come del resto si può vedere nei sia pur pochi versi che sono stati riportati. VITTORIO VERDUCCI |